giovedì 21 giugno 2012

Fiat condannata per discriminazione: dovrà assumere 145 operai FIOM a Pomigliano

Il Tribunale di Roma ha condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano: 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini dovranno essere assunti nella fabbrica. Lo rende noto la stessa Fiom precisando che 19 iscritti al sindacato avranno anche diritto a 3.000 euro per danno.
La Fiom - spiega l'avvocato Elena Poli - ha fatto causa alla Fiat sulla base di una normativa specifica del 2003 che recepisce direttive europee sulle discriminazioni. Alla data della costituzione in giudizio, circa un mese fa, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno risultava iscritto alla Fiom. In base a una simulazione statistica affidata a un professore di Birmingham le possibilità che ciò accadesse casualmente risultavano meno di una su dieci milioni. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha agito per conto di tutti i 382 iscritti alla sua organizzazione (nel frattempo il numero è sceso a 207) e a questa cifra fa riferimento il giudice ordinando all'azienda - come anticipato dalla Fiom - di assumere 145  lavoratori con la tessera dei metalmeccanici Cgil. L'azione antidiscriminatoria - spiega ancora il legale della Fiom - può essere promossa dai diretti discriminati e se la discriminazione è collettiva dall'ente che li rappresenta. Per questo 19 lavoratori hanno deciso di sottoscrivere individualmente la causa e hanno ottenuto i 3.000 euro di risarcimento del danno.

lunedì 4 giugno 2012

Maroni: ma quando restituisci i 350 milioni di euro agli italiani??


Maroni deve agli italiani 350 milioni di euro per il mancato accorpamento delle elezioni amministrative ai referendum nel 2011. Che si fa? Paga Zanna Bianca o paga il suo partito?
"Quel gran genio del Maroni dice che il Quirinale avrebbe buttato i soldi nel cesso facendo la parata del 2 giugno. Mi ricordo quando il genio lo scorso anno non fece votare i referendum nello stesso giorno delle amministrative pensando che in questo modo non si recasse nessuno a votare e i SI non vincessero, bene, quello spostamento di data ci costò 350 MILIONI di euro. Chissà quante case terremotate si sistemerebbero con 350 MILIONI. Maroni, uno che alla mattina quando si alza si domanda come sia possibile che uno come lui sia diventato ministro. Io la risposta ce l'ho. Se il Trota è diventato consigliere regionale...". Carlo Carletti

elezioni in Grecia: Salvateci dai salvatori (di S. Zizek)


 Il 17 giugno i greci torneranno alle urne, e i leader europei ci ripetono che le prossime elezioni avranno un’importanza capitale: in ballo non c’è soltanto il destino della Grecia, ma anche quello di tutta l’Europa. Un risultato – quello più auspicabile, secondo loro – permetterebbe di portare avanti il doloroso ma necessario processo di ripresa attraverso le misure d’austerity. L’alternativa invece – la vittoria della coalizione di sinistra Syriza – scatenerebbe il caos, la fine del mondo (europeo) per come lo conosciamo oggi.
I profeti della catastrofe hanno ragione, ma non nel senso che credono loro. Secondo i critici del nostro attuale sistema democratico, oggi le elezioni non offrono una reale possibilità di scelta: siamo chiamati ad assegnare il nostro voto a partiti di centrodestra o di centrosinistra, ma i loro programmi sono pressoché indistinguibili. Il 17 giugno, invece, i greci potranno davvero operare una scelta di campo: l’establishment (Nuova democrazia e Pasok) da una parte, Syriza dall’altra.
Come sempre accade quando esiste una reale possibilità di scegliere, l’establishment va in preda al panico: se farete la scelta sbagliata, minacciano, seguiranno devastazione, povertà e violenza. La mera possibilità che Syriza possa vincere ha terrorizzato i mercati globali. Viviamo nei giorni della prosopopea ideologica: i mercati parlano come se fossero persone, esprimono preoccupazione per ciò che potrebbe accadere se il futuro governo greco non sarà disposto a rispettare il programma di austerity fiscale e riforme strutturali. Ma i greci non hanno tempo di preoccuparsi di tutto questo: devono pensare alla loro vita di tutti i giorni, che sta peggiorando fino a raggiungere livelli che in Europa non si vedevano da decenni.
Le minacce dei vertici europei sono profezie auto-avveranti. Scatenano il panico, e in questo modo favoriscono quegli stessi i meccanismi da cui ci mettono in guardia. Se vincerà Syriza, sperano che impareremo la lezione sulla nostra pelle e capiremo cosa succede quando si interrompe il circolo vizioso della mutua complicità tra i tecnocrati di Bruxelles e il populismo anti-immigrazione. Per questo Alexis Tsipras, leader di Syriza, ha dichiarato in una recente intervista che la sua priorità in caso di vittoria sarà quella di combattere il panico: “il popolo sconfiggerà la paura. La gente non soccomberà e non si lascerà ricattare”.
La missione di Syriza è quasi impossibile, ma la sua voce non è quella della follia di estrema sinistra. Al contrario, è la voce della ragione che lotta contro la scriteriata ideologia di mercato. Gli uomini di Syriza sono pronti a prendere in mano la situazione, e hanno superato la tradizionale paura di governare della sinistra. Hanno il coraggio di provare a rimediare agli errori commessi da altri. Per farcela dovranno mostrare una formidabile combinazione di principi e pragmatismo, di impegno democratico e capacità di agire rapidamente e con decisione quando necessario. Se vogliono avere una benché minima possibilità di successo, avranno bisogno di una solidarietà forte a livello pan-europeo: non soltanto un trattamento accettabile da parte degli altri paesi, ma anche un sostegno in termini di idee creative, per esempio per la promozione del turismo estivo.
Nei suoi Appunti per una definizione di cultura, T.S. Eliot sottolineava che ci sono momenti in cui l’unica scelta possibile è tra l’eresia e la non-fede. In altre parole, a volte l’unico modo di mantenere in vita una religione è provocare una scissione settaria. Oggi l’Europa si trova esattamente in questa situazione. Soltanto un nuova “eresia” – ai giorni nostri, Syriza – può salvare quanto di buono c’è nel progetto europeo: democrazia, fiducia nei popoli, egualitarismo, solidarietà… Se Syriza verra sconfitta saremo invece condannati a vivere in “un’Europa dai valori asiatici”, che naturalmente non avrà nulla a che vedere con l’Asia ma sarà soltanto lo specchio delle tendenza del capitalismo contemporaneo a calpestare la democrazia.
È questo il paradosso connaturato al “voto libero” nelle società democratiche: il cittadino è libero di scegliere, a condizione che faccia la scelta desiderata. Se l’opzione scelta è diversa (lo abbiamo visto quando gli irlandesi hanno rifiutato la costituzione europea) viene trattata come un errore, e per correggerlo l’establishment chiede immediatamente che il processo “democratico” riparta dal principio. Quando l’anno scorso il primo ministro greco George Papandeou ha proposto un referendum sul piano di salvataggio per la Grecia, la consultazione referendaria in sé è stata bollata come scelta sbagliata.
I mezzi di comunicazione veicolano due macro-storie a proposito della crisi greca: c’è la storia germano-europea (i greci sono irresponsabili, pigri, spendaccioni, evasori fiscali e hanno bisogno di essere controllati e di imparare la disciplina fiscale) e c’è la storia greca (la nostra sovranità nazionale è minacciata dalla tecnocrazia neoliberale di Bruxelles). Quando è diventato impossibile ignorare le sofferenze del popolo greco è emersa una terza storia: i greci vanno aiutati perché vittime di un'’mergenza umanitaria, come se fosse in corso una guerra o se il paese fosse stato colpito da una calamità naturale. Tutte e tre le storie sono chiaramente false, ma la terza è la più disgustosa. I greci non sono affatto vittime inermi. Sono uomini in guerra contro i vertici dell’economia europea, e ciò di cui hanno bisogno è la nostra solidarietà, perché la loro battaglia è anche la nostra battaglia.
La Grecia non è un’eccezione, ma uno dei tanti banchi di prova per un nuovo modello socioeconomico dalle applicazioni potenzialmente illimitate: una tecnocrazia depoliticizzata in cui i banchieri e altri “saggi” demoliscono ogni forma di democrazia. Se riusciremo a salvare la Grecia dai suoi presunti salvatori, salveremo anche l’Europa

Facebook lancia referendum su privacy: al voto 900 milioni di iscritti. VOTA NO!



Più che un sondaggio, è un referendum. Facebook, il social network più frequentato del mondo (oltre 900 milioni di iscritti), vuole sapere se può spingersi oltre, nella raccolta e condivisione dei dati personali.

Cosa spinge la creatura di Mark Zuckerberg a lanciarsi in questa sfida dal risultato incerto? Il senso di responsabilità, certo. Il gusto del futuro, ovvio. Ma anche la paura. La paura di sentirsi dire: ehi, stai vendendo ciò che non possiedi!
Andiamo con ordine. Facebook, prima di continuare a scavare nella nostra privacy in cerca delle preziose informazioni care ai pubblicitari, ha deciso d'interpellare gli iscritti, che di quelle informazioni sono i titolari.
Le novità riguardano nuove sezioni, diverse impostazioni delle pagine e strumenti per gli amministratori.
Si parla della possibilità di utilizzare le informazioni anche al di fuori della piattaforma.
Si discute (di nuovo) della «Timeline», per decidere se mantenere il nuovo aspetto del social network o tornare alla vecchia formula. Si discute, in sostanza, della Data Use Policy (per dirla in milanese moderno, tuttora in uso anche qui negli Stati Uniti).

Sarà necessario un quorum: se nella Facebook Election Week (come l'ha definita Mashable.com) voterà più del 30% degli iscritti attivi (quei 900 milioni che equivarrebbero al terzo Paese del mondo, dopo Cina e India), il risultato sarà vincolante; se voterà meno del 30%, l'opinione verrà considerata consultiva. In pratica dovranno esprimersi 270 milioni di persone - come la popolazione degli Stati Uniti, dove però molti non votano (nelle elezioni vere, e in novembre ne avremo un'altra prova).

Perché Facebook corre questo rischio? Perché la società è a un bivio: sono i mercati a segnalarglielo. Dopo l'enfatica quotazione in borsa, infatti, il titolo ha cominciato a scivolare inesorabilmente. Un po' di faciloneria dell'advisor Morgan Stanley, che ha scelto un prezzo di collocazione troppo alto? Fb non è più «cool», come sostiene qualcuno? Il social network non è adatto quanto Twitter a essere utilizzato sui nuovi dispositivi mobili, iPhone in testa?

Anche questo, forse. Ma il motivo principale l'ha riassunto magistralmente Christopher Caldwell del Weekly Standard in un op-ed sul Financial Times , sabato. I regolatori potrebbero decidere: Facebook sta vendendo qualcosa che non gli appartiene. I mercati lo hanno capito. E il social network di Zuckerberg non può ignorare né gli utenti né i mercati.

Si vota per una settimana sull'indirizzo http://on.fb.me/JXVN6J. Un grande esperimento di democrazia: non c'è dubbio che i nostri nipoti - quando tutta la popolazione sarà online - voteranno così ogni volta, per scegliere qualsiasi cosa (dal sindaco al parlamento). Quella di Facebook, per quanto vasta e lungimirante, è solo una consultazione interna. Ma un consiglio di voto si può dare.
Votate no.

La privacy non si vende. Figuriamoci se si regala.

Beppe Severgnini