venerdì 16 marzo 2012

Benessere europeo: ecco la sauna nella sede della Commissione

Rapporto deficit/Pil? Tagli alla spesa pubblica? Rigore? Certo, come no. Ma questo vale esclusivamente per noi comuni mortali. Perchè se sei un grande funzionario europeo - tipo, che so, Olli Rehn, commissario per gli Affari europei e l'euro - è tutta un'altra musica. Possibilmente della musica consona al relax in una bella sauna. Eh sì, ecco l'ultima novità che viene dall'austera Europa: un benefit per una sauna privata stile finlandese all'interno di Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione. Dove, oltre a rilassarsi dopo i gravosi impegni internazionali, si organizzano briefing con l'asciugamano indosso. O forse senza, visto che l'uso finlandese prevede uno stile, diciamo così, più disinvolto. Il benessere, si sa, viene prima di tutto. Anche del lavoro e della comunicazione pubblica. Ecco allora che il commissario Rehn - che viene appunto dalla Finlandia - ha pensato bene di convocarvi persino una conferenza stampa. Che, immaginiamo, avrà causato parecchi sudori freddi.
Si spera che la casta nostrana non si faccia prendere dalla smania di imitare l'Europa.     

Per qualche euro in più (o in meno): i superburocrati vogliono lo sconto

Barack Obama è un poveraccio. Già, l'uomo più potente delle terra, se paragonato ai nostri superburocrati di Stato, è uno che mette insieme, alla fine di ogni anno, poco meno di 300.000 euro. Uno stipendio davvero minimo, considerato che il capo della polizia italiana, Manganelli, il più ricco di tutti, per proteggerci e servirci, racimola ogni anno la somma monstre di 621.253,75 euro. Era in considerazione di queste cifre assurde, che il governo Monti aveva predisposto un decreto che fissasse un tetto agli stipendi dei grandi burocrati pubblici. Ma ecco che dal Parlamento saltano fuori, e c'era da aspettarselo, le prime richieste di deroga ai tagli. All'idea di riportare i propri lauti guadagni a una misura di decenza, i dipendenti statali più pagati del mondo se la sono fatta sotto e sono corsi ai ripari. Caro Montecitorio, pensaci tu. E così, fioccano le domande di sconto sui tagli. In prima fila vediamo, oltre al già citato Manganelli: il ragioniere generale dello Stato, il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il direttore generale del Corpo forestale dello Stato, il capo del Dipartimento delle Protezione civile, tutti con stipendi compresi tra 360.000 e i 570.000 euro annui. E tutti a elemosinare uno sconto. Alla faccia dell'austerity, dei tagli alla spesa sociale, della stretta economica. E con buona pace del Presidente del Rigore Finanziario. 

Metti una firma in commissione



Da circa un mese, è entrata in vigore alla Camera la nuova procedura di assegnazione di una quota della diaria, che va dai 300 ai 500 euro, legata alla partecipazione ai lavori delle commissioni parlamentari. Somme di denaro - anche irrisorie, visti gli stipendi dei nostri - vincolate appunto alla presenza dei deputati in commissione, che vengono tagliate dall'indennità se le assenze superano la soglia del 50 per cento e dell'80 per cento. Bene. Sembrerebbe una riforma efficace, anche se minima, un modo per spingere i nostri rappresentanti a darci dentro, e invece si è rivelato il vecchio, ennesimo trucco da casta: firmo, sì, ma me ne vado. Perché se è vero che le commissioni - dagli Esteri all'Agricoltura - hanno registrato nell'ultimo mese un boom di presenze (il 100 per cento per un onorevole su quattro), a ciò non è corrisposto una reale partecipazione dei deputati ai lavori. "Verranno pure a firmare. Ma alla fine  - lamenta un deputato di lungo corso come Pino Pisicchio, Api - a lavorare siamo sempre una ventina su 40. Non è cambiato molto". Ed è così che funziona: basta presentarsi nell'aula della commissione, registrarsi, magari fingere di seguire i lavori per una decina di minuti e poi... filarsela, stando ben attenti a non farsi beccare. E senza, naturalmente, ripresentarsi nelle ore successive della giornata - una commissione può essere convocata anche per due, tre volte al giorno - visto che, comunque, la firma è stata apposta e la presenza registrata. Evitando la mannaia del taglio. Il che assicura ai parlamentari la possibilità di conservare gli spiccioli, ma non cambia la natura del loro impegno. I lupi sono duri a perdere il vizio della furbizia.      

martedì 6 marzo 2012

Lettera dei premi nobel per l'ecnomia contro la norma Costituzionale sul pareggio di Bilancio


Cari presidente Obama, presidente Boehner, capogruppo della minoranza Pelosi, capogruppo della maggioranza Reid, capogruppo della minoranza al Senato McConnell,

noi sottoscritti economisti sollecitiamo che venga respinta qualunque
proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul
pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose.

1. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di
recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e
aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni.

2. A differenza delle costituzioni di molti stati che consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale non prevede alcuna differenza tra investimenti e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione.

3. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio
incoraggerebbe il Congresso ad approvare provvedimenti privi di copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti locali e le aziende private trovare le risorse finanziarie al posto del governo federale. Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie (quali la vendita di terreni demaniali e di altri beni pubblici contabilizzando i ricavi come introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri espedienti contabili. Le controversie derivanti
dall’interpretazione del concetto di pareggio di bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi.

4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace sono necessarie in entrambi i rami del Congresso maggioranze molto ampie per approvare un bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l’attività dell’esecutivo.

5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle proposte di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacita’ del Congresso di contrastare eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori gia’ previsti vuoi con apposite modifiche della politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perche’ gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della
spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessita’, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza.

6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un emendamento costituzionale. Il bilancio non solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un avanzo e una riduzione del debito per quattro anni consecutivi dopo l’approvazione da parte del Congresso negli anni ’90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece con l’attuale Costituzione e senza modificarla e lo si può fare ancora. Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. Non c’e’ alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche
monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti.

7. Nell’attuale fase dell’economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole.

KENNETH ARROWpremio Nobel per l’economia 1972
PETER DIAMOND,  premio Nobel per l’economia 2010
WILLIAM SHARPEpremio Nobel per l’economia 1990
CHARLES SCHULTZEconsigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson, animatore della Great Society Agenda 
ALAN BLINDERdirettore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University
ERIC MASKINpremio Nobel per l’economia 2007
ROBERT SOLOWpremio Nobel per l’economia 1087
LAURA TYSONex direttrice del Natonal Economic Council